Dar corpo al corpo. Motivi iconografici del Novecento alla collezione Wolfson
MOSTRA PROROGATA FINO AL 9 GENNAIO 2022
La scultura e la grafica di Michelangelo Buonarroti hanno rappresentato, come noto, una fondamentale fonte di ispirazione per molti artisti del Novecento italiano, tra i quali Adolfo De Carolis che fu il principale illustratore delle opere dannunziane. Con un suo cartone, dedicato al lavoro delle miniere e caratterizzato, nell’enfatica raffigurazione dei vigorosi corpi degli scavatori, da inflessioni michelangiolesche, diffuse all’epoca in Italia attraverso la lezione di Auguste Rodin.
Il cartone preparatorio per gli affreschi della Sala Consiliare del palazzo della Provincia di Arezzo (1922-1924) introduce, all’interno del percorso espositivo della Wolfsoniana, la sezione dedicata al corpo del lavoro e alla contrapposizione – ravvisabile in quel periodo nelle raffigurazioni di tale soggetto – tra una visione simbolica e celebrativa, sviluppata attraverso l’identificazione con il tema del corpo, e una rappresentazione invece più realistica dello sforzo fisico e delle dure condizioni esistenziali dei lavoratori.
Se la durezza del mondo del lavoro, all’interno di questo duplice registro stilistico, appare incarnata dalla dolente figura di un contadino dipinto da Ugo Martelli o dalla plastica descrizione di una lampada da tavolo raffigurante un lavoratore intento a spingere un blocco di marmo, la rappresentazione allegorica del tema si rivela espressione di quel mito del progresso che, ai primi del Novecento, si venne affermando all’interno del passaggio dalla produzione manuale a quella meccanico-industriale: un motivo iconografico emblematicamente esemplificato dal manifesto di Plinio Nomellini per il quotidiano socialista “Il Lavoro” o dalla scultura Donna con turbina di Alberto Giacomasso.
Altrettanto articolata appare, negli stessi anni, l’immagine del corpo della donna che – protagonista di un processo di emancipazione determinante per la trasformazione del suo ruolo sociale – fu oggetto di una contrapposta raffigurazione, tra retaggi della tradizione e dirompenti trasformazioni imposte dalla modernità.
La centralità del ruolo della donna come madre è evidenziata nel gruppo scultoreo Maternità di Raffaello Consortini (1934) e nell’Autoritratto del pittore con la famiglia di Giorgio Matteo Aicardi (1939), mentre l’immagine opposta di una donna moderna, emancipata e sofisticata, si ritrova in molta della pittura e scultura dell’epoca, ma soprattutto, come documentato dai manifesti di Filippo Romoli, nella grafica pubblicitaria e di promozione turistica.
Suddivisa in più capitoli, la sezione dedicata al corpo della propaganda analizza infine come il tema del corpo sia stato centrale nei messaggi della persuasione politica, a partire dalla celebrazione dell’eroe e del martire che si sviluppò a sostegno dello sforzo bellico durante le fasi cruciali della Grande Guerra, stabilizzandosi al termine del conflitto con la creazione di un culto della vittoria impregnato di retorica. Quest’ottica celebrativa, attraverso cui il fascismo autolegittimò la propria presa del potere e alla quale si contrapposero solo poche voci isolate che trovarono peraltro eco in alcune significative esperienze internazionali, restò un tema centrale della propaganda, come dimostrato dal bozzetto per il Sarcofago dei Martiri di Mario Palanti destinato alla cappella dei caduti del Palazzo del Littorio di Roma (1934).
Predominante in questo ambito fu anche l’esaltazione del corpo della gioventù, simbolico emblema dell’uomo “nuovo” fascista, vigoroso e audace esponente di una nazione aggressiva e costantemente pronta alla battaglia. Anche quando non fu così enfatizzata – spesso attraverso rimandi alla gestualità e alla postura del Duce – questa celebrazione della virilità assurse comunque a caratteristica identitaria della nazione fascista, in quanto espressione di solidità e di condivisi valori tradizionali (patria, lavoro e famiglia) da contrapporre al nemico, sovente stigmatizzato attraverso giudizi etnici basati sul concetto di razza e parodistiche rappresentazioni del corpo dell’“altro”.
Le opere in mostra, tutte provenienti dalla collezione della Wolfsoniana, dialogano con alcune opere dell’allestimento permanente del museo, in un ricco e suggestivo percorso dedicato a una riflessione sul tema del corpo e ai mutamenti della nostra percezione di esso, in particolare nelle situazioni di crisi o nelle più significative fasi di trasformazione della storia sociale.
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